venerdì 12 dicembre 2008

L'Italia in crisi edilizia


Pubblico una interessantissima inchiesta uscita ieri sull'Unità a firma di Vittorio Emiliani sulla situazione del mercato immobiliare in Italia, e di come in certi posti (nello specifico Milano) la pianificazione urbanistica sia pressochè inefficace. E pensare che poi qualcuno si lamenta di Monsummano...

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Fino a qualche mese fa, chi gettava l’ombra di una critica sul «boom» edilizio al galoppo dal 2000, veniva trattato da corvaccio del malaugurio. Oggi in tanti si strappano i capelli reclamando, al solito, «aiuti» dal governo nazionale e da quelli regionali per salvare un comparto che rappresenta – ed è vero – il 10,5 per cento del Pil. Eppure la crisi era prevedibile man mano che procedeva la «grande abbuffata» di cemento in tutto il Belpaese, nelle aree metropolitane come nelle zone interne più intatte. Tre dati di questa mega-contraddizione:
1) l’indice dell’industria delle costruzioni è balzato da 100 a 135 in soli sette anni, si è badato esclusivamente a speculare sulle prime e sulle seconde, o terze, abitazioni, e quindi incendiando il caro-case tenuto su dai mutui «facili» delle banche;
2) nello stesso periodo la popolazione, in Italia, è cresciuta relativamente poco (+ 3 per cento);
3) quel poco però risulta costituito, per lo più, da giovani coppie, da immigrati, da coppie di extra-comunitari oppure miste, che reclamano, case e/o affitti a prezzo contenuto o addirittura basso, senza trovare nulla, senza che ci sia stata una qualche politica in tal senso (il piano casa del governo Prodi, per 550 milioni, è di un paio di anni fa).
Esito scontato: alla prima crisi internazionale, dopo gli Stati Uniti, dopo la Spagna (che aveva più «febbre» di noi), è la volta dell’Italia a bloccarsi e lo fa frenando di colpo. I titoli del gigante Pirelli Real Estate – protagonista nelle vendite del patrimonio degli enti previdenziali e in altro ancora - sono precipitati, da aprile ad oggi, da 60 a 3,68 euro (quotazione di mercoledì 3). Non sta molto meglio la Ipi di Danilo Coppola. La Gabetti va chiudendo filiali su filiali e prevede 500 licenziamenti. Il mercato, fortemente speculativo, da solo ha fatto flop, com’era prevedibile.

I modi di reagire sono i più diversi.
La Spagna – che sta peggio di noi e che ci aveva affiancato in testa alla classifica dei grandi produttori di cemento (altri posti a rischio, dopo aver saccheggiato, con le cave, intere montagne e colline) - ha provato a darsi una legge urbanistica più severa. In Italia, al contrario, si reclamano norme urbanistiche ancora più permissive, quelle del modello-Milano dove ormai la pianificazione urbanistica si basa sulla contrattazione diretta fra il Comune e i grandi detentori di aree. Non basta, il sindaco Letizia Moratti ha chiesto il raddoppio delle cubature edificabili entro i confini ristretti del suo Comune (appena 17.000 ettari) per riportarvi dentro, udite udite, i 700.000 cittadini che se ne sono andati nell’ultimo trentennio. «Una cosa campata in aria», ha dichiarato più di un urbanista serio.
«Non si vende quasi più niente», afferma da Roma il presidente di Federlazio, Antonio D’Onofrio. In un semestre le compravendite di case sono calate, in Italia, del 14 per cento e le previsioni per il 2009 sono ancor più negative. Con tutto ciò, l’Expo di Milano sembra venire largamente giocata sul terreno di nuovi grattacieli e grattacielini. Per chi? Non si sa. Nei mesi scorsi, a Vigevano c’erano mille cantieri aperti per ospitare altri milanesi in fuga dalla metropoli. Lo stesso a Pavia e a Voghera. Ma la Regione Lombardia dove sta? Cosa fa? Cosa programma? Abolisce gli standard urbanistici ed è propensa a lasciar costruire nel Parco Sud di Milano.
Sappiamo cosa programma il governo Berlusconi. Secondo il «Sole 24 Ore» (29 novembre), «il Piano casa procede con meno fondi del previsto (l’ultima cifra è 150 milioni di euro), mentre all’estero l’ultimo annuncio viene dal governo inglese, disposto a varare un piano da 1 miliardo di sterline»(cioè circa 850 milioni di euro, una bella differenza). A Roma i costruttori, che fin qui hanno tirato su una marea di nuovi quartieri (fra i più mediocri, da ogni punto di vista, dell’ultimo mezzo secolo) guardando al solo mercato senza preoccuparsi, incoraggiati dalle banche, di una domanda di alloggi a costi e a canoni medio-bassi, minacciano crisi nera e licenziamenti per un terzo dei 150.000 addetti. Al solito.

In Italia si sono dati
, nell’ultimo trentennio (qualunque fosse il governo in carica), questi tre fenomeni concomitanti: 1) è proseguita la corsa senza freni alla proprietà dell’alloggio (siamo all’80 per cento ormai) col risultato di “impiccare” per decenni, alle rate dei mutui milioni di giovani e di giovani adulti; 2) si è grandemente rattrappita l’area dell’affitto per il quale figuriamo fra gli ultimi nell’Europa avanzata col 19 per cento, contro il 31 della Gran Bretagna, il 38 della Francia, su su, fino al 55 per cento della Germania; 3) si è abbandonata, di fatto, quella politica per la casa che aveva portato l’edilizia economica e sociale verso la media europea del 20-25 per cento e che ora ci vede ultimi con un investimento pubblico risibile (1 per cento). Del resto, i promotori di nuove iniziative immobiliari sono diventati principalmente gli stessi costruttori, sono loro a fare il bello e il cattivo tempo. Mentre una volta, al primo posto, c’erano i privati, le cooperative contavano e il settore pubblico era tutt’altro che irrilevante.

La progressiva contrazione dell’affitto
(o dell’affitto conveniente, una volta sepolto l’equo canone) in una società divenuta, per contro, più “mobile” provoca tragedie sociali di massa. Secondo il Sunia, la causa principale degli sfratti non è più la fine della locazione, bensì la morosità cronica di inquilini che non ce la fanno più a pagare: venticinque anni fa essa costituiva meno del 13 per cento delle cause di sfratto, oggi sfiora il 78 per cento. Impressionante. Discorso analogo per l’edilizia economica e popolare, una volta utilissimo volano in tempi di crisi. Lasciata quasi a secco, essa costruisce ancora qualcosa soltanto col ricavato dalle vendite di alloggi di proprietà pubblica. Che sono meno di 800.000, mentre ne occorrerebbero più del doppio. Certo, c’è chi in passato ha concorso a dissestare i bilanci dei vari Istituti Case Popolari, non pagando i canoni, pur bassi o bassissimi. Per non parlare del flagello delle occupazioni abusive. Ma una politica moderna di “social housing” era possibile, anzi indispensabile. Secondo Nomisma, la domanda potenziale di questi alloggi a fitto convenzionato, cioè per giovani coppie, immigrati, universitari fuorisede, pendolari forzosi, è molto elevata. Su 3 milioni e mezzo di immigrati regolari, più di 1 milione abita in locali precari a prezzi da levar la pelle. Seicentomila persone sarebbero a caccia di un alloggio a fitto sopportabile.
Infine: abbiamo un patrimonio abitativo enorme che già nel 2005 superava i 130 milioni di stanze. Un 20-25 per cento sono seconde e terze case. Sottratte le quali, restano pur sempre circa 94 milioni di stanze per neppure 60 milioni di residenti. Dunque c’è una vastissimo patrimonio di alloggi vuoti, sfitti, precariamente occupati, da recuperare, risanare, restaurare. A cominciare dai centri storici dove lo spopolamento ha raggiunto vette inimmaginabili. Nella metropoli, Roma, dove se ne è andato quasi il 78 per cento degli abitanti del dopoguerra, come nella piccola città, Urbino, dove è uscito dalle mura oltre l’85 per cento. Per non parlare di Taranto o di altre città antiche del Sud ormai desertificate.

Ma i costruttori dicono no ad investimenti massicci nel recupero di appartamenti, di interi palazzi e quartieri semiabbandonati. “Si risparmia a costruirli ex novo su aree pubbliche”, spiega il neopresidente dei costruttori romani, Eugenio Batelli. Difatti a Roma – dove ci si è accorti, improvvisamente, che mancano 30-40.000 alloggi per immigrati e giovani coppie – ci si prepara ad una nuova divorante abbuffata di ettari nell’intatto Agro Romano, anche là dove ci sono vincoli. Un altro “sacco”, l’ennesimo, forse il peggiore. Mentre, per contro, il centro storico, nuovamente invaso da auto e Suv, senza vigili urbani (chi li ha più visti?), da una costellazione insensata di pizzerie, piazze-a-taglio, bar, gelaterie, pub, abusivi o effimeri, spesso frutto di riciclaggio, si svuota di residenti e diventa città degli uffici e dello shopping di giorno e “divertimentificio” di notte, con problemi angosciosi di spaccio e di criminalità. Mentre i giovani e gli immigrati vanno fuori, il più possibile. Magari senza mezzi pubblici. Così si comprano l’auto “impiccandosi” ad altri debiti.

domenica 3 agosto 2008

Chissà se loro fanno le primarie.


Il 5 agosto ci saranno le elezioni parlamentari nella Corea del Nord. Il risultato non dovrebbe presentare sorprese, visto che il Fronte democratico per la riunificazione della patria (!!!) è l'unico partito in lizza. Nel 2003, secondo il solerte ufficio elettorale di Pyongyang aveva votato il 99,9 per cento degli aventi diritto, e il risultato era stato di 100 per cento a favore del presidente Kim Jong Il. Del resto, l'alternanza politica non può essere il piatto forte di un Paese che ha eletto il defunto Kim Il Sung (1912-1994) alla carica di "presidente eterno".

Lavoro duro, giovedì gnocca (di Marco Travaglio, l'Unità, 3 agosto 2008)


Questo è un elogio sperticato a Silvio Berlusconi. Una dichiarazione, se non d’amore, di ammirazione totale, sincera e incondizionata al politico più trasparente che l’Italia abbia mai avuto. Più trasparente e più frainteso.

Lui fa di tutto per mostrarsi per quello che è. E quelli che gli stanno intorno fanno a gara a scambiarlo per un altro.

Così l’altroieri, stufo dei continui equivoci che lo gabellano ora per uno statista, ora per un riformatore, ora per un cultore del dialogo sulla giustizia e sulla legge elettorale, ora per un marito modello e un padre esemplare, ha voluto smentirli tutti insieme mostrando ai fotografi l’agenda di una sua giornata-tipo a Palazzo Chigi (quella di mercoledì 30 luglio). Una sorta di auto-intercettazione in diretta: non potendo più esser processato grazie all’auto-immunità, ha pensato bene di auto-intercettarsi, divulgando il calendario della dura vita da premier (“Vedete come mi fanno lavorare!?”). “Berlusconi ­ diceva Montanelli - non delude mai: quanto ti aspetti che faccia una scempiaggine, la fa”. Ma sempre oltrepassando le peggiori aspettative. Non si riesce mai a pensarne abbastanza male: lui riesce sempre a trasformare il più accanito detrattore in un ingenuo minimalista. L’Agenda del Presidente è doppia, nel solco della tradizione di Milano2, della P2, di Olbia2 e prossimamente di Arcore2.

L’Agenda 1, curata dal suo staff, è riconoscibile da due caratteristiche: è scritta al computer e contiene appuntamenti con soggetti di esclusivo sesso maschile, in genere molto noiosi (Schifani, Letta, Fini, Scajola). Nell’Agenda 2 invece, annotata di Suo pugno, gran preponderanza del genere femminile. Pochissimi i maschi, perlopiù avvocati (Ghedini) o pregiudicati (Bossi e Previti). Col vecchio Cesarone, che si ripropone sempre come la peperonata, l’appuntamento è alle ore 16. Seguono un paio d’ore di assoluto relax con “Manna”, nel senso di Evelina, la grande attrice oggetto di frenetiche trattative con Saccà; e poi con “Troise”, nel senso di Antonella, la nota artista anch’essa raccomandata a Raifiction perché stava “diventando pericolosa” (s’era messa a parlare). Così ritemprato dal doppio incontro al vertice, il premier ha potuto affrontare alle 19 un altro summit: con Nunzia Di Girolamo, la procace neodeputata di 32 anni, già destinataria di pizzini amorosi in pieno emiciclo. Completa la giornata dell’insigne latrin lover, alle 20.30, una tipa dal nome più che promettente: Selvaggia. Manca la Carfagna, ma è anche vero che la settimana è fatta di sette giorni e questo è solo il programma del mercoledì.

Segue il giovedì (gnocca). Chi aveva pensato di agevolargli il Lodo Alfano perché “un primo ministro non ha tempo per governare e seguire i processi”, è servito: ora che è libero dai processi, egli si dedica come prima e più di prima al suo passatempo preferito. Che non è proprio quello di governare. Così la stampa della servitù, tipo “Chi” e “Il Giornale”, la pianterà finalmente di screditarlo con quelle umilianti foto della Sacra Famiglia piccolo-borghese, lui mano nella mano con Veronica e tutto il cucuzzaro riunito intorno al focolare. Marito esemplare un par di palle, lui riceve anche quattro ragazze al giorno, alla facciazza dei bacchettoni che gli ronzano intorno. Ce n’è anche per la cosiddetta opposizione che astutamente ha smesso da un pezzo di ricordargli il conflitto d’interessi perché pare brutto demonizzare. Ad essa ha dedicato un paio di appuntamenti: quello col produttore di Endemol Marco Bassetti e quello con il consigliere Rai Marco Staderini (Udc), incerto fino all’altroieri sul caso Saccà. Come a dire: lo vedete o no che continuo a occuparmi delle mie tv, Mediaset e soprattutto Rai?

Devo proprio insegnarvelo io come si fa l’opposizione? Completa il papello una noticina autografa a pie’ di pagina: “Il Presidente N°1. Al Presidente con più vittorie/più vittorioso nella storia del calcio. Milan A.C. Campione del Mondo. N°1 nella storia del calcio”.

Se l’è scritto da solo: un caso di auto-training vagamente inquietante, almeno dal punto di vista psichiatrico. In compenso, nemmeno un cenno ai temi che tanto appassionano il resto, cioè la parte inutile, del mondo politico e della stampa al seguito: dialogo sulle riforme, modello alla tedesca corretto all’austro-ungarica, bicameralismo imperfetto, federalismo fiscale, simposii e seminari delle fondazioni, patti della spigola sulla “fase costituente”.

Lui non ha tempo per simili menate. “Ore 16, Previti”. Poi “Manna-Troise”. La sua Bicamerale. La sua fase ricostituente.

sabato 2 agosto 2008

Non ho capito.

Torno a scrivere sul sito con una piccola nota polemica per il mio PD, che ha declinato l'invito di Di Pietro ad unirsi all'Italia dei Valori per la raccolta delle firme necessarie per il referendum contro il Lodo Alfano. Ok che non passa giorno che Tonino e i suoi non perdano l'occasione di attaccare ed offendere il PD (il più delle volte senza reali motivazioni), adducendo perfino di essere loro l'unica opposizione (ma, si sa, la presunzione è propria di chi non potrebbe permettersela); ciò non toglie però il fatto che personalmente mi senta di non condividere la posizione del mio partito. Pertanto io firmerò per il referendum, pur essendo consapevole che non si tratta dell'unico problema dell'Italia (anzi, ce ne sono di ben più importanti...purtroppo), ma ritenendo nel merito e nella forma (legge ordinaria o legge costituzionale?) il Lodo Alfano palesemente ingiusto ed incostituzionale. Anzi, sulla disputa relativa al fatto se una legge ordinaria sia insufficiente o meno a garantire la totale immunità alle maggiori quattro cariche dello Stato, spero proprio che la Corte costituzionale faccia presto chiarezza su questo tema, magari con un giudizio di incostituzionalità formale che rimanderebbe la legge alle Camere e che, senza dubbio, non raggiungerebbe il quorum necessario per essere riapprovata senza dover passare sotto le forche caudine del referendum confermativo. Questo è quello che spero. Ma siccome non ne sono sicuro, intanto firmo.

L'unica cosa che non vorrei vedere, in tutta Italia così come a Monsummano, è trovare il lunedì al mercato due banchetti distinti: uno dell'IdV che raccoglie le firme per il referendum e un altro del PD per l'iniziativa "Salva l'Italia". E, se poi proprio due banchetti dovranno essere, almeno che siano uno a fianco dell'altro! :-)